Non so di preciso per quale ragione, ma solitamente come la Dionaea muscipula
è definita per antonomasia la “pianta carnivora”, allo stesso modo la Roridula
viene rappresentata come la proto-carnivora per eccellenza.
La sua collocazione tra le piante proto-carnivore, si basa sulla teoria del "mutualismo digestivo" essendo una pianta che vive a stretto contatto con l’emittero Pameridea. Come detto in precedenza, questa pianta vive in simbiosi con un particolare insetto: la Pameridea. Esistono attualmente due specie di questo insetto, la Pameridea marlothii che vive unicamente su Roridula dentata, e la Pameridea roridulae che vive olte su Roridula dentata, anche su Roridula gorgonias. Grazie a lunghe ed esili zampe, la Pameridea riesce a scorrazzare sulle foglie della Roridula senza rimanervi invischiata, come accade invece per altri piccoli insetti. La Pameridea, notoriamente chiamato anche "cimice assassina", rimanere a guardia sulle foglie della pianta e quando un insetto ne rimane intrappolato, lo raggiunge e con il pungiglione lo pugnala succhiando i liquidi all'interno del corpo della preda. L'insetto defeca poi sulle sue foglie della pianta, ed è proprio dagli escrementi dell'insetto che la Roridula trae benefici in fatto di nutrimenti. Recenti studi hanno rivelato inoltre che la quantità di azoto assorbito dalla pianta con questo sistema è praticamente identico alla quantità di azoto assimilata da una Drosera. La convivenza della Roridula con questo simpatico insetto non è però delle più semplici. Infatti la Pameridea non si limita unicamente a nutrirsi delle prede catturate della pianta, ma nel caso in cui queste scarseggino, sopperisce a questa mancanza, cibandosi dei liquidi della pianta stessa. Un equilibrio di convivenza però molto particolare, infatti se la presenza di Pameridea diminuisce, le piante entrano in sofferenza per carenza di azoto, mentre se la popolazione di questi insetti aumenta, diventa maggiore il danno provocato alle Roridule. Catopsis e Brocchina appartenenti entrambe alla famiglia delle Bromeliaceae sono piante che a prima vista sembrerebbero non avere nulla in comune con le piante carnivore. Normalmente le Bromeliaceae crescono infatti sugli alberi, mentre la maggior parte delle piante carnivore vivono nelle paludi, torbiere, ed altri territori umidi. Tuttavia, gli habitat colonizzati da queste due tipologie di piante, presentano un problema comune alla altre piante carnivore: la mancanza di nutrienti utili al loro sviluppo e alla loro crescita. La struttura di queste piante è tale da formare alla loro base dei veri e propri pozzetti dove viene raccolta l’acqua piovana. Sul fondi di questi pozzetti utilizzati dalle piante come trappole, alcuni batteri simbionti provvedono alla scissione delle prede annegate nel liquido, trasformandole in sostanza assimilabili da queste particolari piante. Catopsis e Brocchina non sono quindi in grado di produrre in maniera autonoma alcun tipo di enzima digestivo (proteasi), anche se recenti studi effettuati nel 2015, hanno evidenziato come queste piante siano in grado nella realtà, di secernere una classe di enzimi idrolasi: le fosfatasi, in grado di digerire in qualche modo le prede catturate. Altre specie di Brocchina utilizzano invece strategie digestive differenti. La Brocchina tatei utilizza una strategia leggermente diversa, ospita infatti sul fondo dei pozzetti alcune specie di cianobatteri (chiamati anche alghe azzurre) in grado di produrre azoto assimilabile dalla pianta. La Brocchina acuminata invece, accoglie sul fondo dei pozzetti intere colonie di formiche che provvedono a contraccambiare l’ospitalità, producendo “rifiuti” ricchi di sostanze nutritive. A differenza delle piante vista fino ad ora, il genere Heliamphora è definito a detta di molti coltivatori, un genere carnivoro. Essendo però piante che vivono in terreni poveri di nutrimenti, necessitano di alimenti supplementari per crescere e svilupparsi e quindi affidano a conto terzi il compito di digerire le piccole prede per poter assorbire le sostanze derivate dalla digestione della preda stessa. A differenza di altre piante carnivore con trappole ad ascidio, il genere Heliamphora non sviluppa alla sommità delle proprie trappole alcun tipo di opercolo, una strategia che invece Nepenthes e Sarracenie attuano per evitare che l’acqua piovana vada a diluire i succhi gastrici presenti sul fondo delle trappole. Questa mancata morfologica, permette all'acqua piovana di fluire all'interno dell'ascidio e ristagnare sul loro fondo, dove i batteri simbionti hanno il compito di digerire le prede catturate. Una “strategia alimentare” del tutto simile a quella attuata da il genere Brocchinia e Catopsis. Come sempre accade in natura, abbiamo l’eccezione che conferma la regola… la Heliamphora tatei infatti è una delle poche specie del genere Heliamphora che sono dotate invece di ghiandole specializzate nella produzione di enzimi digestivi. Altra pianta che come la Heliamphora è ritenuta da molti coltivatori una pianta carnivora è la Darlingtonia. La digestione di questa affascinante pianta, avviene come per la Heliamphora, grazie a batteri presenti nell’acqua stagnante sul fondo della trappola, ma a differenza di ciò che avviene per la Heliamphora, l’acqua stagnante non è quella piovana, ma acqua proveniente dal terreno e pompata dalle radici all’interno dell’ascidio. Come tutti sappiamo, l'ascidio della Darlingtonia è completamente occluso all’acqua piovana dal caratteristico cappuccio che ricopre interamente l’ingresso della trappola. Una volta morte per annegamento, le prede vengono digerite dai batteri simbionti e protozoi presenti nell'acqua stagnante fondo della trappola. e trasformate in sostanze nutritive facilmente assorbibili dalla pianta. Questo assorbimento è possibile grazie a particolari cellule presenti sulle pareti interne dell'ascidio, cellule strutturalmente simili a quelle utilizzate dall’apparato radicale di altre piante per assorbire nutrienti dal terreno. Tra i vari commensali che vivono a stretto contatto con questa pianta, troviamo una forma larvale di un particolare moscerino, il Metriocnemus edwardsi. Sono piccole creature lunghe circa un centimetro dal colore biancastro che vivono immerse nel liquido stagnante sul fondo dell’ascidio, la loro presenza aumenta notevolmente il tasso di decomposizione delle prede. Se proviamo a recidere un ascidio di Darlingtonia, possiamo notare queste particolari larve, lo spettacolo offerto da queste creaturine striscianti è veramente angosciante ed orribile. Se vogliamo parlare di qualche cosa veramente curiosa in fatto di ambiguità carnivora, dobbiamo riferirci del genere Sarracenia Come sappiamo, a questo particolare genere appartengono otto specie. Ebbene, sette sono perfettamente carnivore, una invece si comporta in maniera opposta: stiamo parlando della Sarracenia purpurea . Sebbene recenti studi hanno dimostrato che durante il primissimo anno di vita questa pianta è in grado di produrre enzimi capaci di digerire le prede, per il resto della sua vita, la Sarracenia purpurea si affida a terzi per procacciarsi le sostanze nutritive utili alla propria sopravvivenza. Anche in questo caso la digestione delle prede catturate per annegamento nell'acqua piovana stagnante sul fondo dei suoi ascidi, è demandata agli organismi commensali che vivono e popolano le trappole di questa pianta. Tra questi organismi, troviamo come nel caso della Darlingtonia le larve del moscerino Metriocnemus che oltre ad divorare le prede catturate dalla pianta, si ciba anche di larve di zanzara ad eccezione di quelle della zanzara Wyeomyia smithii, guarda casa un organismo commensale della Sarracenia purpurea. I prodotti catabolici (ovvero le feci) di questi commensali diventano le sostanze nutritive assimilate della Sarracenia purpurea per svilupparsi e crescere. Non si può chiudere questa pagina senza citare altre due piante che spesso i coltivatori carnivori amano coltivare. Era chiaro che per botanici del settore, queste piante dovevano essere classificate come carnivore. Nel 1875, il botanico William James Beal aveva osservato sulle foglie di queste piante, diversi insetti rimasti intrappolati dalle gocce di colla che ricoprivano le loro foglie ed aveva poi notato con stupore che dopo qualche giorno degli insetti non era rimasto che solo l’esoscheletro. Più approfonditi studi eseguiti nei secoli successivi, avevano però portato alla fine del secolo scorso a credere che queste piante non fossero in realtà in grado di produrre enzimi capaci di digerire le prede. Ecco che allora da carnivore, queste particolari piante furono riconosciute come proto carnivore. Nonostante queste piante siano interamente ricoperte da gocce collose (gambo, foglie e sepali dei fiori), sembra che il loro scopo non sia quello di intrappolare le prede ma piuttosto di scoraggiare gli insetti ad attaccare la pianta. Contrariamente alle gocce secrete ad esempio dalle Drosere quelle prodotte da la Ibicella e la Proboscidea sono caratterizzate da un odore molto sgradevole che persuadono gli insetti nel mantenersi a debita distanza. Anche le api che per antonomasia sono gli “impollinatori per eccellenza”, disdegnano gli aromi emanati dai fiori di queste piante evitandoli il più possibile e lasciando il compito dell’impollinazione ad insetti necrofiti. Basandomi sulla mia esperienza di coltivazione per quanto riguarda queste due specie di Martyniaceae, posso dire di non aver mai visto insetti imprigionati sulle loro foglie. E’ quindi auspicabile sostenere secondo il mio parere (avvallato da altri coltivatori) che ci troviamo difronte a piante che non solo non sono carnivore, ma non presentano neppure le caratteristiche delle proto carnivore. Ad prova di quanto detto, vi è anche il fatto che queste piante vivono su terreni ricchi di nutrimenti (azoto compreso) e quindi non hanno bisogno di fonti alternative per alimentarsi. |