La tecnica di cattura della Nepenthes è molto simile a quella utilizzata dalla Sarracenia.
L'insetto a cui faremo riferimento, per comprendere i meccanismi di digestione di questa pianta, viene attratto dai profumi prodotti dalla pianta, giunge al peristoma. La superficie epidermica di quest'area presenta delle piccole depressioni di forma ovale dove si formano le ghiandole digestive, quelle che hanno raggiunto la maturità, si differenziano da quelle appena formate dal fatto si essere parzialmente circondate da labbra epidermiche somiglianti a piccole creste stomatiche. L’ultimo strato denominato “Endodermoid cells”, è invece formato da 8-12 cellule cubiche. Ogni ghiandola digestiva, presenta alla sua base, innumerevoli terminazioni xylary ed è concepita per produrre un liquido vischioso molto simile alla glicerina che oltre ad annegare le prede catturate, permette anche la loro degradazione enzimatica con il conseguente assorbimento dei nutrienti risultante dalla digestione della preda stessa. Negli ascidi di giovane età, il liquido digestivo prodotto dalle ghiandole è molto acquoso con un Ph relativamente basso contenente una varietà di enzimi tra i quali proteasi, peptidasi, fosfatasi, esterasi, ribonucleasi e chitinasi. A questo stadio, le ghiandole digestive possono produrre anche proteine dalle proprietà antifungine e antibatteriche, abbinando anche i radicali liberi che aiutano la degradazione dei tessuti della preda. Il Ph del liquido enzimatico prodotto dalle ghiandole più anziane, si alza permettendo la formazione di microrganismi che vanno ad integrare la potenzialità digestiva dei succhi stessi. A differenza della Sarracenia dove il liquido digestivo viene prodotto solamente all'occorrenza, nella Nepenthes il micidiale cocktail viene prodotto durante la formazione dell'ascidio rimanendo stagnante sul fondo, fino al termine del suo ciclo di vita. Ad esempio, nel caso della Nepenthes villosa, il fluido digestivo può rimane attivo anche per 5 mesi. Ritorniamo al nostro insetto che cadendo lungo l'ascidio, impatta con il liquido enzimatico che come abbiamo detto, ristagna sul fondo della trappola. Questo fluido, oltre ad avere il compito principale di disgregare la preda, possiede anche una seconda proprietà più o meno accentuata a secondo della specie: la viscoelasticità. Questa proprietà permette alla pianta di migliorare la ritenzione della preda complicando ed annullando all’insetto la possibilità di evadere dalla trappola mortale. Se confrontiamo la proprietà della superfice dell’acqua (tensione superficiale, bagnabilità statica) e della sua reologia (viscosità, elasticità) con le stesse proprietà del fluido viscoelastico prodotto ad esempio dalla Nepenthes rafflesiana, è possibile intuire come con quest’ultimo caso, il nostro insetto non abbia scampo per sottrarsi al suo crudele destino. Questa osservazione è in forte contrasto nel caso in cui anziché della semplice acqua, il malcapitato si venga a trovare invischiato nel liquido digestivo prodotto dalla pianta. In quest'ultimo caso, alcuni video ad alta velocità hanno rivelato che ad esempio, le mosche non sono state in grado di spostare le loro ali per volare via, mentre le formiche sono rimaste impedite nell’estrarre dal liquido le zampe, le quali sono state trattenute da filamenti appiccicosi tipiche di fluidi viscoelastici. Se potessimo virtualmente venire in aiuto al nostro insetto, estraendolo dal liquido dopo qualche minuto di immersione, noteremmo con stupore che sarebbe in grado di riprendere le proprie funzioni vitali e questo ci suggerisce come la cattura dell’insetto non è dovuto ad un rapido attacco chimico, ma semplicemente dalla natura fisica del liquido stesso. Purtroppo nella realtà, difficilmente le prede vengono salvate e quindi il nostro insetto rimane invischiato nel liquido enzimatico, dibattendosi nel tentativo ti liberarsi fino a quando la stanchezza prende il sopravvento e la morte per annegamento giunge inesorabilmente. Gli enzimi presenti nel liquido digestivo iniziano lentamente ma inesorabilmente a scomporre le parti molli della preda ormai priva di vita, permettendo alle ghiandole digestive di assimilare le sostanze derivanti dal processo digestivo, sostanze tra le quali troviamo del carbonio, dell'azoto, ed altre sostanze utili allo sviluppo e alla crescita della pianta. |